Ora, che vi piaccia il jazz o no qui non ha alcuna importanza. Perché qui sì è la musica, per carità, che fa da padrona, ma la storia da conoscere è quella di un uomo. Un piccolo uomo, davvero piccolo, alto meno di un metro.
Lui si chiama Michel. Se lo guardi in faccia ha il volto di un bambino con gli occhiali spessi e storti, e però i pochi capelli di un cinquantenne. Ma l’intensità dei suoi sguardi racconta di un adulto.
Nasce in Francia, in una casa dove la musica è pane e respiro, e lui è il più piccolo di tutti non solo per anagrafe, ma per la sua sindrome. La sindrome delle “ossa di cristallo”, osteogenesi imperfetta come si chiama scientificamente, lo fa restare sempre di una dimensione minima, ma non impedisce alla sua fame di vita di crescergli in petto, insieme ad un cuore vorace e ad un desiderio di vivere che lo porterà ad amare, oltre alla musica, le donne e il mondo.
Si narra che a quattro anni inizi a suonare il pianoforte, aiutato da un marchingegno creato dal padre per consentirgli di premere i pedali per lui altrimenti irraggiungibili. E da lì in poi non si ferma più. Sul suo piccolo corpo sono cresciute grandi mani volanti, agili e sensibili, che conoscono la tastiera come il corpo di un’amante desiderata, e per tutta la sua breve vita accarezzerà con delicatezza corde a lui solo conosciute.
Una storia apparentemente al contrario, verrebbe da dire.
Michel non può andare a scuola, passa quasi tutta l’infanzia in casa, isolato da altri bambini, dal gioco, dalla strada. Ore lunghissime, solitarie, che immaginiamo silenziose e tristi. Ma lui cosa fa? Suona. Suona fino a dodici ore al giorno, instancabile e volitivo. Suona a tal punto che a soli tredici anni esce dal nido per esibirsi con un famosissimo trombettista americano in uno dei più prestigiosi festival jazz di Francia, e da lì in poi vola. A diciannove anni è una star del festival jazz di Parigi, lascia senza fiato il pubblico con una esibizione magnifica, Steinway costruisce appositamente per lui un apparato che gli consenta di usare tutti e tre i pedali del piano, un privilegio enorme. L’anno successivo si trasferisce negli Stati Uniti dove suona con i più grandi musicisti di tutto il mondo. È il solo musicista europeo a finire a contratto sotto l’etichetta esclusiva di Blue Note, il suo nome diventa famigliare a tutti gli amanti del jazz e viene ribattezzato “French wonder boy”. Concerti, incisioni, dischi pubblicati, tutto quanto un musicista possa desiderare.
Ma quello che risplende in questa creatura, letteralmente fragile per la malattia, è l’umanità. Quello che definiremmo un portatore di handicap ama fino al fondo la vita, è carnale in tutti i suoi atteggiamenti. Si sposa due volte, ha due figli, é adorato dalle donne, viaggia, sperimenta a volte anche in modo avventato emozioni forti. Ha una intensità in sé che lo rende attraente e luminoso. A soli 36 anni muore, ma la sua vita sembra così piena da apparire lunghissima.
Ci si chiede cosa ne pensi della sua condizione, ed ecco qui cosa dice lui stesso:
“Le persone non comprendono che per un essere umano non è necessario essere alti un metro e ottanta. Quello che conta é ciò che si ha nella testa e nel corpo. Ed in particolare ciò che si ha nell’anima”.
Lassù, in quel posto dove si formano gli esseri viventi da mandare al mondo, un giorno mentre ne costruivano uno nuovo qualcuno decise di farlo bello, di una bellezza assoluta, infinita, divina. Fu così che l’universo ci donò, per soli 36 anni, la meraviglia di Michel Petrucciani.
Lassù, in quel posto dove si formano gli esseri viventi da mandare al mondo, un giorno mentre ne costruivano uno nuovo qualcuno decise di farlo bello, di una bellezza assoluta, infinita, divina. Fu così che l’universo ci donò, per soli 36 anni, la meraviglia di Michel Petrucciani.