Prosegue la nostra inchiesta sull’editoria italiana. Questa volta ci spostiamo a Milano e conosciamo Bookabook e il loro innovativo progetto di pubblicazione e promozione editoriale.
Partiamo dalla fine. Qual è il vostro ultimo libro in uscita? In che modo rappresenta la vostra linea editoriale?
In attesa degli altri trasmettiamo musica da ballo di Malusa Kosgran. È una storia forte tra la Puglia di oggi e la Milano degli anni ’60 e ‘70. Parte come un giallo, prosegue sotto forma di racconto di affettività, difficoltà, radici e rami, per usare una metafora del libro. Racconta il nostro modo di fare editoria perché è stato scelto due volte: la prima dalla redazione che si è innamorata di Antonino, il protagonista, la seconda dai lettori, che attraverso il crowdfunding hanno dato vita a un passaparola continuo e appassionato. Anche la risposta dei librai è stata di grande interesse.
Raccontateci la vostra storia. Come siete diventate editori? E di quali libri siete particolarmente orgogliosi?
Siamo diventati editori sulla spinta dei successi del crowdfunding in altri ambiti: film, musica, design. Nel 2014 la sfida era portare le grandi potenzialità del crowdfunding nel mondo editoriale. Oggi la sfida è andare oltre, costruendo delle comunità che non vivano solo online, ma che si incontrino, discutano, animino il dibattito alle fiere e in libreria. Un libro su tutti del quale siamo molto orgogliosi è Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana. Una storia dura, vera, che era necessario raccontare. Senza il crowdfunding non avrebbe probabilmente trovato un pubblico così attivo, coinvolto, attento.
In che modo descrivereste l’attuale situazione dei piccoli e medi editori. C’è uno scenario che descrive la piccola editoria come la vera artefice della scena letteraria italiana. C’è del vero?
La piccola e media editoria ha meno paura di rischiare, di innovare, di trovare nuove strade per raggiungere i lettori. È al tempo stesso una scelta e una necessità. La grande editoria arriva per forza più tardi, con più mezzi. Finché si trova un equilibrio tra questi due diversi momenti, a guadagnarci sono i lettori e tutta la filiera. Mi fa più paura il ristagno, l’incapacità di reinventarsi. Per fortuna, non ci sono segnali in questo senso, anzi.
Il Mestiere di Scrivere” si occupa da 10 anni di scrittura creativa e dei modi per imparare la tecnica di base. Secondo voi si può insegnare il mestiere di scrivere? Le scuole di scrittura dal vostro punto di vista sono una risorsa per gli editori e una opportunità in più per reclutare nuovi autori, oppure rischiano di creare un esercito di “scriventi” non destinati al mondo editoriale?
Si può insegnare a scrivere. Il talento è meraviglioso e, da solo, quasi inutile. Servono rigore, umiltà e voglia di mettersi in gioco. La seconda domanda meriterebbe una risposta più complessa. Dipende dagli editori. Con quanta cura intendono gestire gli esordi, coinvolgere la filiera, modellare la loro proposta editoriale per ospitarne un certo numero. Basta vedere i dati sull’editoria: all’estero i diritti degli autori italiani hanno mercato. Oggi però, almeno in una certa misura, si vendono i diritti di autori che hanno esordito 5-10 anni fa. Se non si ha il coraggio di nuove proposte, tra 5-10 che succederà? Bookabook nasce anche per questo, dare la possibilità a esordi di qualità e con potenziale di confrontarsi con il mercato del libro, quello vero.
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