Orhan Pamuk: essere scrittore

Qual è il senso della letteratura? Come nasce un romanzo? In tre appassionate conferenze tenute nell’arco di un anno, fino al discorso di accettazione del Premio Nobel 2006, Orhan Pamuk disegna un ritratto dello scrittore nel mondo contemporaneo. La letteratura inizia dal gesto di chi si chiude in una stanza, si ripiega in sé stesso e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Proprio quell’isolamento nasconde in realtà un’apertura, la certezza che tutti gli uomini si somiglino e che il mondo sia privo di un centro. Essere scrittori, infatti, significa prendere coscienza delle proprie ferite interiori, e raccontarle ai lettori che le riconoscono per averle provate in prima persona, magari senza esserne consapevoli. E poiché ricordano ai lettori la loro fragilità, la loro vergogna e il loro orgoglio, gli scrittori suscitano ancora oggi nel mondo «molta rabbia» e «inaspettati gesti di intolleranza». Ma i romanzi sono uno strumento indispensabile che le comunità hanno per riflettere sulla propria identità. «L’arte del romanzo mi ha insegnato che condividendo le nostre segrete vergogne diamo avvio alla nostra liberazione».

Uno scrittore è colui che passa anni alla paziente ricerca dell’essere distinto che porta dentro di sé e del mondo che lo rende la persona che è: quando parlo di scrittura la prima cosa che mi viene in mente non è un romanzo, una poesia o la tradizione letteraria, ma è una persona che si chiude in una stanza, si siede a un tavolo e si ripiega in sé stessa e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Quest’uomo (o questa donna) può usare la macchina per scrivere, può approfittare dell’aiuto di un computer, oppure può scrivere come me, per trent’anni, con una penna stilografica e mentre scrive può bere caffè, tè e fumare sigarette. Qualche volta può alzarsi dal tavolo e può guardare fuori, i bambini che giocano per strada, gli alberi o un panorama, se è fortunato, oppure un muro cieco.

Quando passo giorni, mesi, anni scrivendo lentamente le mie parole su un foglio bianco, seduto al tavolo, sento di costruire un nuovo mondo, una nuova persona dentro di me, proprio come coloro che costruiscono un ponte o una cupola pietra su pietra. Le pietre di noi scrittori sono le parole. Le tocchiamo, sentiamo il rapporto che hanno tra di loro, qualche volta le guardiamo da lontano, qualche volta le accarezziamo con le dita o con la punta della penna, le pensiamo, le sistemiamo e così per anni, con determinazione, pazienza e speranza costruiamo nuovi mondi.

Secondo me il segreto dello scrittore non sta nell’ispirazione, che arriva da fonti ignote, ma nella sua ostinazione e nella sua pazienza. «Scavare un pozzo con un ago» è un bel modo di dire turco che descrive il lavoro dello scrittore.

Penso che lo scrittore, seduto a un tavolo, debba pazientemente dedicare molti anni della sua esistenza a questo mestiere, a quest’arte e trarne sufficiente fiducia per poter raccontare la propria vita come se fosse la vita di un altro e sentire dentro di sé la forza del racconto. La musa, che ispira alcuni scrittori e ne evita altri, ama questa sicurezza e questa fiducia: nel momento in cui lo scrittore si sente terribilmente solo e inizia a nutrire dubbi sul suo lavoro, sul valore della sua immaginazione e dei suoi scritti – in altre parole quando pensa che la storia che scrivendo resterà una storia soltanto sua – la musa offre quelle fantasie, quelle immagini e quei racconti che evocheranno il mondo che lo scrittore vuole costruire. Se ripenso ai libri a cui ho dedicato tutta la mia vita provo un sentimento sconvolgente: mi sembra di non aver scritto con le mie meni le frasi, i sogni, le pagine che mi hanno dato una grande felicità, ma di averlo fatto grazie a una forza generosa e sconosciuta.

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