“La signora col cagnolino”, racconto scritto nel 1899, è tra i miei preferiti di Cechov e in generale viene giudicato uno dei più belli.

Gurov, un uomo sposato in villeggiatura da solo nella località balneare di Jalta, rimane colpito dall’incontro con una bella giovane sempre accompagnata dal suo cagnolino bianco. Dongiovanni incallito, il protagonista avvia una relazione con la donna, Anna Sergeevna, oppressa da un matrimonio infelice. Al momento della partenza lei insiste sul fatto che l’addio debba essere per sempre. Da esperto rubacuori qual è, Gurov si rassegna con un sollievo autunnale e torna dalla moglie e dai figli a Mosca, dove si ritrova ossessionato e pieno di dolore. Si è innamorato, forse per la prima volta? Non lo sa, e non lo sa nemmeno Cechov, così neanche noi possiamo saperlo. Gurov non riesce più a dimenticare Anna e per questo si reca nella città di provincia in cui abita la signora, dove la scorge tra la folla all’opera. Angosciata, lei lo prega di partire subito, promettendogli che andrà a trovarlo nella capitale. Gli incontri moscoviti, che hanno luogo ogni due o tre mesi, diventano un’abitudine abbastanza piacevole per Gurov, ma niente affatto lieta per Anna, la quale non fa altro che piangere. Finché, intravedendo la propria immagine allo specchio, l’uomo nota che i suoi capelli iniziano a incanutire e allo stesso tempo prende coscienza dell’intricato dilemma in cui si è cacciato, che interpreta come un innamoramento tardivo. Che cosa fare? Avverte subito che lui e la sua amata sono sull’orlo di una vita nuova e felice, ma si rende anche conto che il traguardo della relazione è molto lontano e che la parte più difficile del loro travaglio è appena cominciata.
Ecco tutto quello che Cechov ci dà: ma gli echi del racconto continuano a farsi sentire anche dopo molto tempo dopo questa conclusione che non conclude nulla. Com’è evidente, sia Gurov sia Anna Sergeevna cambiano, ma non necessariamente in meglio. Niente di quanto l’uno possa fare per l’altra ha il sapore della salvezza; allora che cosa riscatta la loro vicenda dalla sua ordinaria banalità? Che cosa la distingue dalla storia di qualsiasi altro adulterio infelice?

L’arte di Cechov non è mai così misteriosa di quanto sia in questo caso, dove risulta tangibile ma non definibile. L’autore presenta quel che accade tra i due amanti con tanto distacco da omettere, oltre alle informazioni, la propria opinione, impedendo anche a noi di esprimere un parere. Nel suo carattere universale, la storia possiede una strana laconicità. Gurov crede davvero di essersi finalmente innamorato? Né lui né il lettore hanno degli indizi, e Cechov, se conosce la risposta, non ha alcuna intenzione di rivelarcela.
Parlando di Cechov, Gor’kij dice che lo scrittore era “in grado di rivelare nel mare oscuro della banalità il suo humour tragico”. Sembra un giudizio ingenuo, eppure la più grande forza di Cechov è darci l’impressione che le sue opere contengano la verità sulla fusione costante, tipica dell’esistenza umana, tra sofferenza banale e gioia tragica.
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