Dostoevskij e il “potere di ispirazione”

Non c’è niente di meglio che confrontarsi direttamente con le parole di Dostoevskij per misurare il suo potere di ispirazione, la sua capacità di raccogliere granelli di bellezza ad ogni nuova lettura di un classico, o dalla semplice constatazione della realtà e dell’uomo. In questo senso vanno letti questi estratti del suo pensiero. Tra lettere e riflessioni si tratta di bagnarsi alla fonte del suo genio, inteso come visione poetica e punti di vista sulla natura umana.

Il mistero dell’uomo

«Riesco abbastanza bene nello studio del “significato dell’uomo e della vita”; posso studiare i caratteri mediante la lettura degli scrittori in compagnia dei quali trascorro liberamente e gioiosamente la parte migliore della mia vita. Mi sento sicuro di me. L’uomo è un mistero. Un mistero che bisogna risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio essere un uomo».

Omero

«Omero può essere accostato soltanto a Cristo, e non a Goethe. Nell’Iliade ha conferito a tutto il mondo antico l’organizzazione della vita spirituale e terrena in maniera così completa e con altrettanta forza con cui Cristo l’ha conferita al nuovo mondo».

Il processo creativo del romanzo

«Da giovani si ha la testa piena di idee, ma non si può afferrarle tutte a volo ed esprimerle immediatamente, non bisogna avere troppa fretta di esprimersi. È meglio aspettare più a lungo la sintesi, pensare di più, aspettare finché molti piccoli motivi si uniscano…tu evidentemente confondi l’ispirazione, e cioè la prima istantanea creazione dell’immagine o dell’impulso nell’anima dello scrittore (che ha inizio appunto sempre così), con il lavoro. Io, per esempio, butto sempre giù la scena immediatamente, così come essa mi si è presentata per la prima volta, e ne sono soddisfatto; ma poi la rielaboro per mesi interi e magari per un anno, mi lascio ispirare nuovamente da essa più volte, e non una soltanto (perché amo quella scena), e più volte le aggiungo o ne tolgo qualcosa».

L’dea e l’ispirazione

«E così io, tre settimane fa […], mi sono messo a scrivere un nuovo romanzo e ci lavoro giorno e notte. L’idea del romanzo è una mia antica e prediletta idea, ma è talmente difficile che per un pezzo non me la sono sentita di affrontarla, e se mi ci sono risolto adesso ciò è dovuto senz’altro al fatto che mi sono trovato in una situazione quasi disperata. L’idea principale del romanzo è quella di rappresentare una natura umana pienamente bella. Non c’è nulla di più difficile al mondo, e specialmente oggi. Tutti gli scrittori, non soltanto russi, ma anche tutti gli europei, che si sono accinti alla rappresentazione di un carattere bello e allo stesso tempo positivo, hanno sempre dovuto rinunciare. Giacché si tratta di un compito smisurato. Il bello è un ideale, e l’ideale – sia il nostro sia quello dell’Europa civilizzata – è ben lontano dall’essere elaborato. Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine. (Tutto il Vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola incarnazione, nella sola apparizione del bello)»

Il sottosuolo e la salvezza

«Mi hanno appena detto, fratello carissimo, che verremo trasferiti oggi o domani. Ho chiesto di poterti vedere, ma mi è stato risposto che è impossibile; posso solo scriverti questa lettera, a cui ti prego di darmi risposta il prima possibile. Ho paura che in qualche modo tu abbia saputo della nostra condanna a morte. Dai finestrini della carrozza, mentre ci portavano in piazza Semenov, ho visto una gran folla di gente; forse la notizia è arrivata anche a te, e hai sofferto per me. Adesso puoi stare tranquillo. Fratello! Non mi sono abbattuto né perso d’animo.
La vita è dappertutto. La vita è dentro di noi, non fuori di noi. Accanto a me ci saranno delle persone, ed essere uomo tra gli uomini e restarlo per sempre, e per nessuna sventura abbattersi o perdersi d’animo – è questa la vita, lo scopo della vita. Ora l’ho capito. Quest’idea mi è entrata nella carne e nel sangue. Proprio così! Quella testa che creava, che viveva della vita superiore dell’arte, che aveva compreso e ci si era abituata alle superiori esigenze dello spirito, quella testa mi è stata tagliata via dalle spalle. Restano il ricordo e le immagini create ma non ancora incarnate da me. Mi strazieranno, lo so! Ma mi resta il mio cuore la stessa carne e il sangue cha sanno anche amare, e soffrire, e desiderare e ricordare – e questo, dopotutto, è vita. On voit le soleil! Ora addio fratello! Non ti affliggere per me!».

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