Nessuno può partire da zero. Circa venticinque anni fa ebbi la fortuna di trovarmi in una zona dell’Inghilterra dove vi era un’alta concentrazione di scrittori eccentrici e cordiali, più che disponibili a condividere le loro idee e a svelare le loro scoperte. Imparare determinate cose in una particolare situazione sociale è solo uno dei sistemi per fare una sorta di apprendistato. Allora non sapevo che le cose che stavo imparando avrebbero prodotto un profondo turbamento e un cambiamento interiore.
Scoprii che avrei dovuto rivedere le idee che mi erano state inculcate sul tempo, la prospettiva, la percezione, la memoria, la storia, i sentimenti e la realtà stessa. Scoprii che gli spazi della narrazione, dell’immaginazione e della poesia “illuminano” ciò che noi chiamiamo lo “spazio reale”, l’ambiente spesso monotono della nostra quotidianità. Scoprii che anche le parole e i mondi che essi evocano sono potenti e che non potevo più aggrapparmi alla convinzione che la scrittura fosse un’attività sistematica che procede in modo lineare da A a B, che consistesse mettere nero su bianco in modo serio e meditato un’ispirazione e una visione, o che fosse un mero esercizio di copiatura di qualcosa di già esistente.
Non appena si comincia a scrivere, si effettua una selezione, si inventa, si riordina. Ciò che emerge e si sviluppa alla fine di questo processo è sempre una sorta di miscellanea di ciò che già esiste con ciò che è stato inventato o creato. Capisco che possa essere difficile da accettare, ma diventa molto più facile se smettiamo di preoccuparci e di sforzarci di far combaciare esattamente ciò che abbiamo scritto con ciò che abbiamo visto, conosciuto o interpretato. Bisogna anche smettere di tormentarsi sulla falsa dicotomia originata dall’angosciosa domanda: non può essere vera letteratura se ha anche un effetto terapeutico? O, al contrario: questa è letteratura, un’attività obiettiva che non può avere niente a che fare con la terapia.
Non sono mai riuscita a capire perché alcune persone ritengano così necessario insistere su questa distinzione. Le risposte sono due: per prima cosa, il fatto che un’attività debba essere di un tipo o di un altro e che sia necessario definirne una deriva da una tradizione filosofica e materialistica (e forse anche dalla fisica di Newton!) che non è in grado di cogliere e di far proprio il concetto di dialettica, di ambiguità, di pluralità di punti di vista, di realtà pluridimensionale.
Chi scrive è una creatura complessa, destinata a incontrare molte cose nel corso della propria attività e chiamata a scoprire ed ampliare ciò che per definizione è nascosto e ristretto, nel mondo e in se stessa.
Per coloro che non riescono ad accettare il fatto che scrivere significa avventurarsi alla scoperta del proprio io e insieme creare letteratura la risposta è molto semplice: è proprio ciò che sto facendo. Sono stata chiamata ad esplorare le tenebre, le regioni più fosche della mia psiche, le emozioni che vanno oltre la mia naturale esperienza, ma anche ad accanirmi e a lottare con le parole in modo che il mondo che creo abbia una consistenza propria. Sono processi convergenti per la maggior parte degli scrittori e per le centinaia di studenti con i quali ho lavorato negli ultimi venticinque anni.
Sono cambiata e continuo a cambiare e a sviluppare me stessa e gli altri nel corso di questo processo. Il mio scenario intellettuale, emozionale e spirituale è sempre in evoluzione. Vi sono stati momenti che potrei definire traumatici e altri di conquista. Ma grazie a essi ora mi sento più completa e credi di avere a disposizione una parte maggiore di me stessa e del mondo per lavorare. Nel frattempo scrivo e produco “letteratura”, poesie, brani di prosa, racconti, romanzi. Scrivere significa rischiare, sfidare, scontrarsi. Scrivere significa dare un senso più ampio all’espressione “sentirsi vivi”. Scrivere significa fare qualcosa che chiamiamo letteratura. Il termine “terapeutico” descrive così bene una certa parte del processo che talvolta esito a portarla alla luce perché può far supporre che si tratti di un processo disgiunto, che necessita di una considerazione a parte. Sono cose che vengono percepite nel corso dell’attività stessa e verificate ogni volta che si ripresentano. Spesso è con sorpresa, quasi con sbalordimento, che riguardando il lavoro di scrittura di un brano ci rendiamo conto che siamo stati in grado di entrare nella mente di un bambino, di volare come un uccello, di sentirci preda di un odio implacabile e di prendere a pugni i cuscini della poltrona, o di gustare un delizioso frutto sconosciuto.
Ogni essere umano ha un patrimonio di esperienza, immaginazione ed espressione che spesso, in determinate condizioni sociali, non viene sfruttato.
Nicki Jackowska, poetessa e scrittrice, tiene da venticinque anni corsi di scrittura creativa. Collabora anche con un gruppo musicale irlandese, occupandosi anche dell’interazione delle parole con la musica, la danza e le arti visive.
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