Paul Auster: il mio mestiere

“Ho capito che i libri non sono mai finiti, che è possibile per alcune storie continuare a scriversi senza il loro autore”.


Paul Auster è uno dei più importanti autori contemporanei americani. I suoi romanzi sono apprezzati e letti in tutto il mondo, a partire da “L’invenzione della solitudine” del 1979. Autore poliedrico e prolifico – è anche sceneggiatore e regista cinematografico -, scrive storie originalissime e bizzarre nelle quali il caso gioca un ruolo fondamentale nel determinare le scelte e il destino dei suoi personaggi. Il suo ultimo romanzo è “Invisibile”, pubblicato dalla casa editrice Einaudi.

La copertina di "Invisibile", l'ultimo romanzo di Paul Auster edito in Italia

Quelle che seguono sono alcune riflessioni e stralci di interviste che riflettono il suo particolare punto di vista sulla scrittura e sull’arte di raccontare storie.

Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì pren­devo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha par­ticolarmente impressionato: «Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo.

[…]

Io posso senza particolare dif­ficoltà prevedere il momento in cui non avrò più niente da dire, come scrittore, e in cui questa necessità che oggi mi spinge sarà scomparsa. E se questo momento arriva, tanto meglio, tanto peggio, non so… è così… Forse allora potrò tentare di fare altro della mia vita: diventare medico o truf­fatore. Il mio piacere di scrittore, l’unico, io lo trovo in quel qualcosa che mi spinge a scrivere. Spesso si parla della disciplina dello scrittore, della necessità che avrebbe di essere duro con se stesso. Il problema secondo me non sta lì. Io non ho bisogno di disciplina, scrivo senza nessun obbligo. Se dovessi forzarmi, non scriverei. Quando si sente che non c’è più nulla da dire, è meglio tacere.

La scrittura non guarisce mai da nulla. Se svolgiamo questo lavoro onestamente, siamo costretti a farci delle domande, sempre. È impossibile, o almeno rarissimo, tro­vare risposte definitive alle cose. C’è sempre un’apertura, un’altra cosa per noi. Non provo mai una sensazione di chiusura. Le cose non sono mai finite e ogni storia è una storia che continua. In quasi tutti i miei libri, la fine è un’a­pertura verso un’altra cosa – nuova. Un’apertura a un pros­simo episodio, a un passo che non è nel libro, ma che il libro suggerisce. Un passo in un libro o un passo nella vita: è la stessa cosa.

[…]

Molto giovane, ho sperato di diventare un romanziere, di scrivere delle storie. Mi sono profondamente immerso nella letteratura, e più in particolare nella poesia che costi­tuisce la ragione stessa di ogni letteratura, di tutto questo sforzo che tende a esprimersi attraverso le parole. Paral­lelamente scrivevo prosa, ma senza che i risultati mi des­sero soddisfazione. Custodivo nel cassetto i miei testi in prosa. Non so perché, le mie poesie mi parevano più degne di essere pubblicate… Verso i trent’anni, ho attraversato una tremenda crisi. Non riuscivo più a scrivere poesie. Per diversi anni, ho gettato il novantanove per cento di quel che scrivevo! Ero infelice nella vita e lavorare mi era sem­pre più difficile. Ho pensato che era tutto finito per me, che non sarei mai stato uno scrittore. Nonostante tutte le mie speranze e il mio lavoro, dovevo decidermi a proget­tare un altro avvenire. Poi, non so perché, qualcosa è scat­tato dentro di me: una nuova consapevolezza, un nuovo desiderio di scrivere. Sotto una forma diversa: quella della prosa, e ho deciso di seguire questo impulso, senza per questo rompere del tutto con la poesia. Mi è molto diffi­cile distinguere in modo chiaro questo processo, adden­trarmi in questa foresta oscura, ma tali sono i fatti… A distanza di tempo, posso affermare che la mia poesia è di sicuro una parte di me che non rinnego. Anzi, è proprio all’origine di quanto scrivo adesso”.

 

Una risposta a "Paul Auster: il mio mestiere"

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  1. Nessuno può obbligare qualcuno a scrivere; a volte si accetta di compiere azioni orribili per paura, di fare gesti eroici perchè follemente convinti di essere indispensabili, ma scrivere è sempre e solo il voler credere di essere Dio: creare mondi, persone, situazioni ed essere convinti che sarà la volontà di chi scrive a mettere la parola fine….non è così….ogni volta che si comincia con la prima frase inizia di nuovo il cammino…e chi scrive deve solo essere attento a descrivere…null’altro…

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