Natalia Ginzburg: scrivere in tempi di guerra

“Non guariremo mai da questa guerra. È inutile. Non saremo mai più gente serena, gente che pensa e studia e compone la sua vita in pace. Vedete cosa è stato fatto di noi. Non saremo mai più gente tranquilla.

C’è ancora qualcuno che si lagna del fatto che gli scrittori si servano d’un linguaggio amaro e violento, che raccontino cose dure e tristi, che presentino nei suoi termini più desolati la realtà. Noi non possiamo mentire nei libri e non possiamo mentire in nessuna delle cose che facciamo. E forse questo è l’unico bene che ci è venuto dalla guerra. Noi siamo vicini alle cose nella loro sostanza.

Una foto di Paolo Pellegrin

Non c’è pace per il figlio dell’uomo. Le volpi e i lupi hanno le loro tane, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. La nostra generazione è una generazione di uomini. Non è una generazione di volpi e di lupi. Ciascuno di noi avrebbe molta voglia di posare il capo da qualche parte, ciascuno avrebbe voglia di una piccola tana asciutta e calda. Ma non c’è pace per i figli degli uomini. Ciascuno di noi una volta nella sua vita si è illuso di potersi addormentare su qualche cosa, impadronirsi di una certezza qualunque, di una fede qualunque e riposarsi le membra. Ma tutte le certezze di allora ci sono state strappate e la fede non è mai qualcosa dove si possa infine prendere sonno”.

Natalia Ginzburg, “Il figlio dell’uomo”.

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