Interviste con gli autori: Giulio Armeni e la nuova narrativa

Continuiamo con le nostre interviste con gli autori emergenti più originali e le opere più significative del panorama editoriale italiano. Questa volta intervistiamo Giulio Armeni, giovane scrittore romano e autore di un’opera prima brillante e provocatoria:  “Manuale di folosofia coatta”, un vero e proprio manuale di filosofia (con schede dei filosofi, brevi e chiare) dalle origini nella Grecia antica fino alle filosofie contemporanee, scritto in una chiave «coatta» e nella lingua romanesca (comprensibile a tutti). Il libro è edito da Momo edizioni.

Quando hai incominciato a scrivere? La spinta a scrivere è nata sotto qualche influenza (una persona o un avvenimento?)? Di che genere? 

Ho cominciato coi temi delle elementari. Scuola di suore: ambiente saturo d’amore cosmico, ma anche di tanta inevitabile retorica di buoni sentimenti, che spesso pilotava i nostri temi a conclusioni del tipo “[…] a volte io e Andrea litighiamo, ma gli voglio bene e sono felice di avere un compagno di banco come lui”. Il mio primo, vero problema scrittorio fu: posso compiacere il mio lettore – e ottenere il conseguente 10 e lode – e al contempo fare lo slalom tra tutta ‘sta retorica? Penso d’aver imparato a scrivere così, partendo non da quel che pensavo – cosa che mi riesce tuttora difficile – ma da quello che di certo non pensavo. Ovviamente annovero anche delle rese clamorose. Una su tutte, il tema post-strage di Nassiriya, in cui usai la parola “patria” qualcosa come 10 volte.

Quali sono le tue abitudini di scrittura? Sei disciplinato, organizzato, oppure segui di più il flusso creativo? Credi nel concetto di “ispirazione”? Come lo definiresti? 

Dipende di cosa stiamo parlando. Se scrivo dei meme, ho un approccio da fame nervosa. Ho come un lampo, arrabatto nel mio piatto un’accozzaglia di quel che voglio scrivere, consumo l’ispirazione in un amen. Se scrivo narrativa socialmente approvata – con tutta l’aura che la circonda e di cui i meme sono, per ora, liberi – accuso molto più la tensione, e allora preferisco apparecchiarmi la scrittura per settimane se non mesi, e scongiurare la pagina bianca spalmandola prima di un ricco strato di appunti. C’è di buono però che, una volta sedutomi a tavola e iniziato a scrivere, poi per parecchie ore non mi rialzo più. Credo molto nell’ispirazione, per me è il fulmine che precede il tuono della scrittura. A volte agiscono in simultanea – nel caso del meme – altre volte li separano mesi e mesi d’inutili insicurezze. Questo a livello intellettuale. A livello fisiologico, penso l’ispirazione sia tipo un vento che soffia tra le sbarre della gabbia toracica.

Qual è il tuo ultimo lavoro e a che cosa stai lavorando?

L’ultimo è il “Manuale di filosofia coatta”, una sorta di anti-manuale di filosofia in cui rovescio tutta la storia della filosofia attraverso il romanesco. Spero in un altro libro con Momo Edizioni; il mio sogno sarebbe la sceneggiatura d’un fumetto a tema filosofico. In un futuro più a lungo termine, inseguo una chimera: un libro con la profondità psicologica di un romanzo di formazione, l’onestà filosofica che hanno certi mostri sacri della stand-up comedy e la potenza sovversiva che trovo su certe pagine di meme. Ho messo giù un po’ d’appunti ma devo iniziare a scriverlo, per quel discorso di prima del tuono ritardato ecc.

Verso quale scrittore o scrittrice ti senti più debitore?

Riguardo la scrittura romanesca, il fumettista Zerocalcare e il rapper Noyz Narcos, per il comune merito di aver trovato un romano koinè adatto a quasi tutte le latitudini italiane, tranne per il comune di Bressanone. Accomunati dal dono della sintesi, li ho un po’ studiati per revisionare il Manuale. Per mettere in forte dubbio le mie velleità di fare letteratura umoristica: “ho sciacquato i panni in Narcos”.

Per la scrittura in italiano, ultimamente sono stato colpito e affondato da Primo Levi. Se ho installato sul mio cellulare l’app del dizionario etimologico, è stato unicamente per scoprire da dove ca**o Levi pescasse parole meravigliose come “Lambiccare”.

Per le avanguardie – come esempi luminosi di anti-retorica – seguo su Facebook le fluviali pagine “Memes Sublimes?” e “Merdapostaggio”. 

“Il Mestiere di Scrivere” si occupa da 10 anni di scrittura creativa e dei modi per   imparare   la   tecnica   di   base.   Secondo te si può insegnare a scrivere? Quale è stata la tua “scuola” in tal senso?  

Domandone. Penso banalmente che il talento sia un mistero quantistico e si possa/debba educare, ma che una scuola di scrittura possa solo, verosimilmente, disseppellirlo, piuttosto che crearlo. Penso che le scuole di scrittura debbano innanzitutto puntare a insegnare la sincerità verso se stessi e verso le parole; la pubblicazione può essere una conseguenza di questo tuo lavoro psicologico. Se non la ottieni, penso che hai almeno guadagnato un minimo di pulizia mentale in più. Penso che a farmi da scuola siano state, quanto se non più delle letture positive, le letture negative: il tarantiniano “latte rancido”.

https://momoedizioni.it/catalogo/libro/manuale-di-filosofia-coatta

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