Cliquot Edizioni: alla riscoperta delle opere dimenticate

Continua la nostra rassegna nel mondo editoriale italiano con Cliquot Edizioni che ha fatto del recupero dei classici mancati e delle opere dimenticate il suo principale elemento distintivo e di politica culturale.

http://www.cliquot.it/cliquot-chi-siamo/

Partiamo dalla fine. Qual è il vostro ultimo libro in uscita? In che modo rappresenta la vostra linea editoriale?

È appena arrivato in libreria Il re ne comanda una, romanzo d’esordio dello scrittore triestino Stelio Mattioni, pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Adelphi nel 1968. Il libro rappresenta la linea editoriale almeno per due motivi. Intanto, è una riscoperta: l’intero progetto Cliquot si basa sulla riscoperta di belle opere del passato dimenticate, di ottimo gusto letterario. Il fatto che Mattioni fosse ammirato, fra gli altri, da Italo Calvino e che per tutti gli anni Settanta sia stato pubblicato da Adelphi la dice già lunga sulle qualità narrative del libro!

La seconda ragione è il contenuto. Cliquot è una casa editrice senza etichette, pubblica indifferentemente romanzi mainstream e letteratura popolare, storie psicologiche o d’azione, l’importante è che il libro sia moderno e attuale anche se scritto o pubblicato nel Novecento. Dobbiamo ammettere, però, che abbiamo un occhio di riguardo per i generi affini al fantastico e al sovrannaturale, e per le opere fuori dagli schemi che sconvolgono e lasciano di stucco. In questo senso, Il re ne comanda una è perfettamente inserito nel progetto. Non è un libro fantastico in senso stretto, ma Mattioni ha uno stile di scrittura talmente bizzarro da trasformare eventi ordinari in episodi grotteschi e surreali, trascinando il lettore in un mondo tutto particolare che sembra quello delle favole. Uno scrittore unico davvero!

Raccontateci la vostra storia. Come siete diventate editori? E di quali libri siete particolarmente orgogliosi?

La casa editrice è nata come digitale, e i nostri primi ebook sono usciti all’inizio del 2015, dopo uno studio e una preparazione di svariati mesi, mentre il passaggio al cartaceo è avvenuto l’anno successivo. Tutti i soci hanno alle spalle una lunga gavetta nel mondo dell’editoria e hanno in precedenza collaborato a vario titolo con diverse case editrici anche importanti, ma l’occasione che ha fatto scattare la scintilla è stata la partecipazione al Corso principe per redattori editoriali promosso da Oblique Studio di Roma, un corso di formazione molto intenso (e bellissimo, lo consigliamo a tutti!) che ci ha permesso, da un lato, di affrontare con maggior cognizione di causa il difficile lavoro editoriale, e dall’altro di incontrarci e di capire che eravamo pronti a metterci in gioco.

Attualmente il nucleo della casa editrice è composto da quattro soci, ciascuno dei quali porta il suo contributo e la sua sensibilità. Per questo, se ciascuno di noi dovesse rispondere alla domanda “di quali libri siamo particolarmente orgogliosi”, daremmo senz’altro quattro diverse risposte, nessuna meno giusta dell’altra. Per quanto mi riguarda, potrei menzionare il primo libro che Cliquot ha pubblicato, La cosa marrone chiaro di Fritz Leiber: per un piccolo editore, avere avuto fin dall’inizio in catalogo un autore immenso come Leiber (più volte premio Hugo, grande maestro di fantascienza, fantasy e horror) è certamente motivo d’orgoglio ma anche indice di grande ambizione.

E poi potrei chiamare in causa Gomòria di Carlo H. De’ Medici, gotico illustrato del 1921 uscito lo scorso dicembre che ci sta già dando grandi soddisfazioni: è un libro che amo particolarmente perché è un testo meraviglioso che abbiamo riesumato dall’oblio di quasi cent’anni, e sul quale continua ad aleggiare una fitta nebbia di mistero.

In che modo descrivereste l’attuale situazione dei piccoli e medi editori? C’è uno scenario che descrive la piccola editoria come la vera artefice della scena letteraria italiana. C’è del vero?

Certo. La forza della piccola e media editoria è in quello che viene chiamato scouting, ovvero la ricerca degli autori da pubblicare. Sono in genere i piccoli editori, perlopiù squattrinati ma competenti, armati di passione, coraggio e amore per il libro, a scoprire, coltivare e far sbocciare gli scrittori più talentuosi. I grandi editori, con il loro potere contrattuale, spesso si limitano a ingaggiare il bravo autore per il secondo o terzo libro subito dopo il fortunato esordio con una piccola casa editrice.

Anche dal punto di vista della gestione della filiera editoriale il piccolo editore è spesso un pioniere. Non starò a farla lunga qui su questo aspetto, ma nelle dinamiche editore-distributore-libreria, in genere gli editori indipendenti sono penalizzati perché l’intera filiera è in mano a tre grandi gruppi, ed è quasi sempre molto difficile trovare uno spazietto in libreria. Per questo il piccolo editore deve spesso cercare strade nuove. La nostra, per esempio, è quella di puntare il più possibile sul rapporto diretto con le librerie, scavalcando a piè pari il distributore.

“Il Mestiere di Scrivere” si occupa da 10 anni di scrittura creativa e dei modi per imparare la tecnica di base. Secondo voi si può insegnare il mestiere di scrivere? Le scuole di scrittura dal vostro punto di vista sono una risorsa per gli editori e una opportunità in più per reclutare nuovi autori, oppure rischiano di creare un esercito di “scriventi” non destinati al mondo editoriale?

Direi che il lavoro dell’editore e quello delle scuole di scrittura dovrebbe andare avanti di pari passo nella formazione di nuovi autori, nel senso che – e questo è come sempre il consiglio base di fondo – leggere i libri pubblicati dagli editori viene prima di qualunque corso.

Leggere tanto è importante, ma anche se si legge poco è importante farlo bene. Prima di tutto chiedersi sempre da soli perché un certo passo ci colpisce o ci annoia; quali tecniche ha usato l’autore per convogliare certi contenuti. Sottolineare, scarabocchiare, prendere appunti. Può un pittore definirsi tale se non ha mai studiato un quadro di Rembrandt o di Caravaggio? Soltanto dopo il corso di scrittura può rivelarsi utile: per imprimere nel dna ciò che da soli si è cercato ardentemente di scoprire e fare proprio. Insomma, l’approccio attivo è la vera chiave del successo, e il corso di scrittura sarà tanto più proficuo quanto più sarà affrontato attivamente.

La nota amara è che ben pochi riescono a farlo in questo modo e, ahimè, esiste un esercito di scriventi che non sarà mai destinato al mondo editoriale. Ciò che manca più spesso a queste persone è la capacità di autocritica (se non si sviluppa la capacità di critica, non ci sarà neppure mai capacità di autocritica): in genere incolpano gli editori cattivi del loro insuccesso, gli editori «che pubblicano solo i loro amici», quando la verità è soltanto che hanno scritto un libro brutto.

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