Il rito di scrivere: l’arte di esprimersi

Innanzitutto Scrivere è compiere un rito.

La Scrittura rende medium, è la scrittura che scrive. Se Scrivi per davvero non sei tu a farlo, non si tratta di te. Scrivere è entrare in trance. La Scrittura ti usa, si serve di te come di un traduttore. La Scrittura dà i suoi frutti se non la contraddici, se t’affidi a lei e non obietti, perché quando viene, lei è sovrana, lei è regina della tua mente e più il tuo cuore è puro, meglio lei fa il suo lavoro. E il suo lavoro è anche pulirti, rigenerarti, donarti ciò che tu ancora non sai. Ogni tuo pensiero personale, paradossalmente, diventa interferenza. Perché la Scrittura è come un segnale radio da intercettare, tu il ricevitore, un flusso di parole il suono captato. E non importa che tu prima non comprenda, perché lei sa dove farti andare e se tu t’affidi lei ti ripaga. Quando arriva, tu non opporti. Tu non opporti, ma impara a fluire. Sarà un dolce ballo a guidare i tuoi passi; il tuo orecchio interno, guidato da lei, seleziona per istinto le parole migliori.

Illustrazione di Laura Angelucci
Illustrazione di Laura Angelucci

Ed è solo una questione di ritmo. Solo di ritmo.

La Scrittura ti fa suonare, la Scrittura ti fa vibrare; altrimenti resti un corpo morto, giaci senz’anima mentre lei sempre ti chiama e tu non sei pronto a rispondere. Non è vero che decidiamo noi, non è vero che dipende solo da noi. Noi siamo chiamati e richiamati ad esprimerci, costantemente. Come gocce che cadono regolari da un rubinetto che attende solo d’esser schiuso, così le chiamate della Scrittura, alle quali sta a noi l’unico compito di renderci pronti a rispondere.

Se comprendi la natura profonda di quest’arte, che come le arti sue sorelle – le muse – affonda le sue radici in acque abissali, allora imparando a scrivere impari anche a vivere.

Perché s’intuisce, a un certo momento, che si viene chiamati e che non siamo all’altezza.

Ecco, è così che avviene la prima volta.

Succede a tutti, soprattutto da piccoli – da bambini ne è piena la vita di questi richiami. Poi diventa più difficile, noi cresciamo e la chiamata ad esprimerci incontra via via più impedimenti, maggiori resistenze. E sono davvero miracoli i casi in cui una certa ostinazione del cuore a rimaner tale, nonostante gli assalti del mondo, garantisce al fortunato la possibilità di restar pronto a rispondere. Rispondere alla chiamata d’esprimersi.

Accade così: ci sentiamo investiti di una potente energia, quasi un sovraccarico, un’esigenza d’espressione. D’improvviso le foglie che abbiamo visto camminando nel parco, di ritorno a casa quel pomeriggio, diventano la cosa più importante del mondo. Il litigio con i genitori, la bambina caduta sul marciapiede che s’è sbucciata il ginocchio, la nostra intera vita: frammenti insignificanti assumono adesso un’imponenza biblica, esagerata.

Dobbiamo scriverli.

Inutile dire come solitamente finiscano molti dei primi, maldestri tentativi di rispondere a tale ingente richiesta. Ne restano pidocchiosi raccontini, insulse menzogne o mezze verità rivestite di parole usurate, prese in prestito a qualcun altro, che dicono poco. Come blocchi di marmo informi che attendono d’essere scolpiti. Tiriamo fuori cenci un po’ sporchi e sgualciti. Nel migliore dei casi, avremo scritto abbastanza presto da partorire una poesiola originale che ci assicura il plauso di maestre e famiglie sotto il periodo natalizio.

Ma la chiamata torna ed insiste. Non importa con quanta ingenuità ci buttiamo nelle sue braccia che ancora ci respingono, né con quanta cinica rassegnazione ignoriamo l’istinto che ci invita a proseguire, o con quanta sorda disperazione, con un senso di angosciosa disfatta, stracciamo i nostri fogli, gettiamo al macero i nostri diari o releghiamo lettere ed esperimenti nelle umide cantine.

La Scrittura continua la sua ronda nelle viscere di ciascuno e solo alcuni stomaci più forti resistono ancora ed ancora, tenaci e testardi, all’operazione di scavo della sua chiamata.

Allora i più temerari e speranzosi, pazzi, incoscienti, profondamente idealisti, decidono di tentar seriamente d’imparare qualcosa. Leggono di più, cercando di carpire i segreti degli scrittori-eroi, magari s’iscrivono a una scuola, inviano racconti ai concorsi.

Non importa come andranno a finire queste loro imprese. Sia che ne ricavino approvazioni e premi, sia che ne ricevano indietro calci, come indifferenza e critiche distratte, chi ha risposto alla chiamata d’esprimersi si ritrova a un certo punto sospinto su di una soglia.

E non importa che egli, spronato dalla fortuna, ormai scriva da anni e abbia già pubblicato, o che al contrario nessuno si sia interessato al suo lavoro, lui abbia posato la penna, gettato i quaderni, provato vergogna. Se, nonostante tutto questo, ha fedelmente continuato a dar seguito alla chiamata, egli si ritrova su questa soglia.

Giulia D’Alia. Laureata in filosofia, dal 2012 collabora con “Le Officine del Racconto”. Attualmente approfondisce i linguaggi del cinema documentario presso il Dams di Roma Tre.

Laura Angelucci, 25 anni, studentessa all’Accademia di Belle Arti di Macerata, illustratrice.
http://lauraangelucci91.wix.com/meglioscriverlo

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