Pubblichiamo questo breve articolo di Italo Calvino su un particolare aspetto dell’opera di Charles Dickens, che mette in risalto un’epoca della storia del romanzo popolare nella quale il rapporto tra scrittore e lettore era caratterizzato da modelli relazionali davvero inconsueti, e che, per certi versi, sono stati rigenerati in tempi più recenti dalle nuove forme di narrazione televisiva e di teatro civile.
«Charles Dickens aveva una forte passione istrionica. Provò a fare l’attore ma senza successo. Grande successo ebbe invece quando, al culmine della sua fama, leggeva episodi dei suoi romanzi in teatri di Londra e della provincia. La narrativa tornava alle sue origini di comunicazione orale; il pubblico pagava il biglietto per i recital del romanziere come per uno spettacolo.
Ma questo carattere di spettacolo si estendeva anche alla pagina stampata. Per Dickens essere autore di un romanzo non voleva dire solo scriverlo, ma anche essere regista della sua interpretazione visuale, dirigendo l’illustratore, e del ritmo delle emozioni del pubblico, mediante le interruzioni delle puntate, per cui il farsi del romanzo, come d’uno spettacolo, avveniva quasi sotto gli occhi del lettore, in dialogo con le su reazioni: curiosità, paura, pianto, riso.
In una di queste rivistine dickensiane i personaggi erano presentati da un personaggio buffo che raccontava d’averne trovato i manoscritti nella cassa d’un vecchio orologio in una casa misteriosa: come negli antichi novellieri, una finzione faceva da cornice ad altre finzioni: quelle storie che i lettori avrebbero seguito come fatti di persone di loro conoscenza non nascondevano il loro carattere convenzionale e spettacolare, il loro uso degli effetti, in una parola la loro natura ‘romanzesca’. Le lettere che i lettori delle dispense scrivevano a Dickens perché non lasciasse morire un personaggio, erano il prodotto non d’una confusione tra finzione e realtà, ma della passione del gioco, dell’antico gioco tra chi narra e chi ascolta, che esige la presenza fisica d’un pubblico che intervenga a far da coro, quasi provocato dalla voce del narratore.
Questo carattere di spettacolo collettivo la narrazione ha continuato a portarselo con sé anche dopo secoli che essa non era più recitazione di favoleggiatori o cantastorie, ma oggetto di una lettura solitaria e silenziosa. Possiamo dire che s’è perso in epoca relativamente recente e forse è ancora presto per dire se si tratta d’un tramonto definitivo o d’un’eclisse temporanea».
Dall’unità didattica: Lo stile, struttura e composizione del testo (Corsi di scrittura creativa)
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