«Tutte le storie, prima della scrittura, sono sempre meravigliose e infinite, perché ancora non esistono nel mondo delle cose reali; per farle esistere, chi racconta storie deve trasportarle di là dalle foreste (dai deserti; dai mari; dalle montagne) della scrittura.

La scrittura hai i suoi rovi, le sue tempeste, i suoi spazi deserti, i suoi ghiacciai, e il pericolo, per chi racconta storie, è quello di arrivare al termine del viaggio reggendo tra le braccia un fagottino insanguinato, una povera spoglia morta che avrebbe dovuto diventare chissà cosa e assumere chissà quali sembianze, ma non è riuscita a sopravvivere ai disagi della traversata…
Per attraversare le foreste (i deserti, i mari, le montagne) della scrittura, chi racconta storie deve conoscere perfettamente la sua cavalcatura, cioè la sua lingua, ed essere perfettamente affiatato con lei. Deve conoscere – sia pure in maniera sommaria – il territorio che vuole attraversare e deve avere in mente un itinerario che la scrittura potrà modificare in mille modi, senza però giungere a spostare le tappe fondamentali e il punto d’arrivo.
Chi racconta storia sa di essere un cavaliere che scorta una bella dama – la sua storia – attraverso il terreno ostile e infido della scrittura. Sa che una parte della bellezza della dama si perderà nel corso del viaggio, e che potrebbe anche toccargli in sorte di arrivare solo, ma è animato ogni volta dall’entusiasmo di mostrare a quelli che sono di là dalla scrittura l’incomparabile fascino della sua nuova dama, e perciò affronta fatiche e duelli».
Dall’unità didattica: Elementi di stile (Corsi di scrittura creativa)
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