John Fante: scrivere e gettare via

“Non feci altro che pensarci per tutto il giorno. Ero ossessionato dalla sua nudità bruna e dal suo bacio, dal sapore della sua bocca quando era uscita dall’acqua, e poi vedevo me, bianco e verginale, che trattenevo il respiro per far rientrare lo stomaco e mi coprivo i lombi con le mani.

Passai ore intere a camminare avanti e indietro nella stanza. Alla fine del pomeriggio ero esausto e la mia immagine riflessa nello specchio mi riuscì intollerabile. Mi sedetti alla macchina da scrivere e riversai sulla carta tutto quello che sarebbe dovuto accadere, pestando sui tasti con una tale violenza che la mia piccola portatile prese a spostarsi lateralmente, allontanandosi sempre di più da me.

La descrissi come una tigre, che io avevo inchiodato a terra e sopraffatto con la mia forza invincibile. Nel finale, lei mi inseguiva carponi, piangendo e implorando pietà. Mi parve eccellente. Ma quando rilessi quello che avevo scritto rimasi molto deluso: non era che un cumulo di banalità. Strappai il tutto e lo gettai via”.

John Fante, “Chiedi alla polvere”

2 risposte a "John Fante: scrivere e gettare via"

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  1. Le banalità sono scorie dell’ anima senza le quali non potremmo mai accorgerci del nostro valore.
    Quando si e’ in sintonia con sè stessi, quando si è veramente liberi ci si rende conto di aver scritto o detto delle banalità. Il che spiega la sensazione che almeno in questo paese le frequenze sono molto disturbate.
    Ciao Ciao.
    Gabriella Modica

  2. E se è successo a lui, che dire? è normale? ma poi con quale energia si riprova? o non si riprova più? ci si dedica al giardinaggio o al bricolage? Poi però il tormento di quella pagina non ti lascia neppure se fai giardinaggio e bricolage e allora ci si riprova sperando questa volta di riuscire.
    A voi capita? a me si.
    Stella

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