In questo breve estratto da un’intervista a Elena Loewenthal, si parla di quel particolare rapporto tra scrittura intima e letteratura, del rischio (o opportunità) implicito che esiste tra raccontare di sé e raccontare di sé attraverso gli altri.

Raccontarsi è un gesto di generosità o di narcisismo?
«L’uno e l’altro. Scrivendo si rimane in bilico fra contemplazione di sé e comunicazione con l’altro. Una strada scivolosa che si riesce a percorrere solo con grande spudoratezza. Io stessa sono stata spudorata a tentare l’operazione di scrivere un saggio usando sempre la prima persona».
Usare la “prima persona” vuol dire affidarsi, consegnarsi a un altro che non conosci: il lettore.
«Accetto il rischio. Scrivendo, io taglio la realtà come mi pare, chi mi legge taglia la storia come piace a lui. È la libertà assoluta, una libertà necessaria. Persino la mia tradizione – che prevede un Dio che ti comanda in ogni tempo e in ogni momento – ti lascia libero di interpretare il testo (anche il testo sacro) come ti pare».
Riuscirebbe a vivere senza scrivere?
«No, io scrivo per bisogno. Ho una vita molto pratica: famiglia, figli, lavoro… una vita qualunque. Ma la realtà è mia soltanto quando la scrivo. Se succede qualcosa che io voglio esista per davvero, allora la scrivo. Non ho mai avuto nessun altro modo di vivere».
Elena Loewenthal
Scrivere di sé
Einaudi, Torino 2007
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