Philip Roth: il mio mestiere

Il problema è che, quando scrivo, la scrittura nasce da un’esigenza di raccontare, troppo forte per essere frenata anche se a volte mi capita di fermarmi, di non riuscire ad andare avanti, di sentire che tutto è finito, che l’angoscia che ho dentro non lascia più posto alle storie, che le storie possibili sono state tutte uccise, costrette a non esistere, a non nascere. Quando attraverso quei momenti, e negli anni sono diventati più frequenti, a volte basta la frase di un romanzo che mi torna alla mente, la battuta di un personaggio in un libro, per tirarmi fuori dal buio, per ridarmi la possibilità e la capacità di scrivere. Ecco: l’autore di quella frase, di quella battuta, è in quel momento il mio indispensabile maestro”.

Philip Roth, da un intervista al “Corriere della Sera”

“Io prendo le frasi e le giro. Questa è la mia vita. Scrivo una frase e la giro. Poi la guardo e la giro di nuovo. Poi vado a pranzo. Poi torno qui e scrivo un’altra frase. Poi prendo il tè e giro la frase nuova. Poi rileggo le due frasi e le giro tutt’e due. Poi mi sdraio sul sofà e rifletto. Poi mi alzo, le cancello e ricomincio da capo”.

“Lo scrittore fantasma”

Se un mattino avessi raccolto la pagina scritta e mi fossi scoperto incapace di ricordare di averla scritta, che cosa avrei fatto? Senza il mio lavoro, cosa sarebbe rimasto di me?

“Il fantasma esce di scena”

 

2 risposte a "Philip Roth: il mio mestiere"

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