“Così l’ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere”.
Così John Fante sul suo capolavoro, un libro immerso nelle ambientazioni che il grande scrittore italo-americano riesce a costruire, facendone lo sfondo nel quale immerge il suo protagonista Arturo Bandini.

Nel passo seguente Fante evoca, attraverso una profonda analisi dell’ambientazione, l’atmosfera disperata e visionaria della città, il luogo ideale dove perdersi o confondersi nella polvere delle strade.
“Mi diressi verso la mia stanza, su per le scale polverose di Bunker Hill, oltre i caseggiati ricoperti di fuliggine che fiancheggiavano la strada buia dove sabbia, petrolio e grasso soffocavano i futili palmizi che, come prigionieri morenti, erano incatenati a una zolla di terra stretta nella morsa del marciapiede nero. Polvere, vecchie case e vecchia gente seduta alle finestre, vecchi che uscivano traballando dalle porte, e che si trascinavano lungo le strade buie. […] Erano sradicati, gente vuota e triste, gente vecchia e giovane, gente di casa mia, condannata a morire al sole. Eccoli i miei concittadini, i nuovi californiani. Con le loro camiciola a colori vivaci e gli occhiali da sole, erano in paradiso e si sentivano a casa. […] Li ho visti sbucare dal cinema di fronte alla realtà, e poi tornare verso casa a leggere il “Times” per sapere cosa era successo nel mondo. Ho vomitato sui loro giornali, ho letto i loro libri, studiato le loro abitudini, mangiato il loro cibo, desiderato le loro donne, ammirato la loro arte. Ma sono povero, il mio nome termina con una vocale dolce, e loro odiano me, mio padre e il padre di mio padre. Avrebbero voluto succhiarmi il sangue e abbattermi come un animale, ma ora sono vecchi e stanno morendo sotto il sole e nella polvere calda delle strade, mentre io sono giovane e pieno di speranze e di amore per il mio paese e i miei tempi, e se ti chiamo “indiana” non è il mio cuore che parla, ma il ricordo di una vecchia ferita, e io mi vergogno della cosa tremenda che faccio”.
La polvere calda, la fuliggine, il nero dei marciapiedi delle strade: ogni parola di Fante, ogni dettaglio evoca un mondo in disfacimento che muore in pieno sole.
Adoro John Fante. Almeno uno dei suoi libri sta sempre sul mio comodino o, quando viaggio, in valigia. Non so cosa darei per saper scrivere come scriveva lui.
Giorgio.
Avevo iniziato a leggerlo, non ricordo perchè l’ho lasciato appena finisco ” I FUOCHI DEL BASENTO” la lettura.
Anna
Ho letto diversi romanzi di Fante e tutti mi sono molto piaciuti. La sua scrittura è secca, stridente, profondamente umana.
Tra i suoi libri preferisco “Aspetta primavera, Bandini”, un testo indimenticabile che vola via, pagina dopo pagina.
ho letto quasi tutto di John Fante e come Enzo anche io ho amato molto “Aspetta primavera Bandini” ma anche “Sogni di Bunker Hill”, si autocompice un pò e in certi momenti lo prenderesti a schiaffi ma descrive così bene che pare di essere lì nel Colorado o a Los Angeles, e dopo aver letto i libri mi mancava proprio. Mi ha commosso quando parla di Wimesburg Ohio di Sherwood Anderson perchè adoro quel libro ed è stato appena ripubblicato da Newton Compton. Mi piacerebbe leggere Fame