Masterchef ovvero il Paradosso dell’Aria Fritta: l’analisi “narrativa” di un talent show

Chi dice che Masterchef è un semplice Talent Show, mente agli altri e a se stesso. Vero, il programma ha tutte le caratteristiche narrative del Talent Show. Una su tutte: la dicotomia tra concorrenti e giudici. I primi, mortali: soggetti a eliminazione e vulnerabili al tempo, come i personaggi del romanzo moderno. I secondi, immortali: non soggetti a eliminazione e invulnerabili al tempo, come gli olimpici nell’epica antica. I primi, alla rincorsa di un obiettivo finale: il titolo di miglior cantante, miglior businessman, miglior parrucchiere, miglior cuoco. I secondi, alla rincorsa di niente; guadagnata la pienezza in una vita precedente, sembra non possano desiderare altro da ciò che già hanno.

master-chef-logo

Ciò che rende la formula di Masterchef ineguagliabile rispetto agli altri Talent è altro: è il Paradosso dell’Aria Fritta: ovvero, che l’intero programma ruoti attorno a un senso che il telespettatore non può percepire: il gusto. La voce di un concorrente di X-Factor è udibile.  L’acconciatura di un concorrente di Hair Secret è visibile. Il profitto di un concorrente di The Apprentice è calcolabile. Quel che è decisivo in una puntata di Masterchef, invece, sembra accadere una e una volta sola all’interno della scatola magica televisiva. Non mi stancherò mai di declamare lo scandalo della cosa: sulla carta, Masterchef è assurdo come sarebbe assurdo un Talent Show dedicato a produttori di profumi. Eppure Masterchef riesce a rovesciare quest’assenza nella massima potenza d’incanto, in ciò che rende inscindibile il patto tra me e lui.

Alla luce di tutto questo, ripercorriamo tutte le manche di una puntata di Masterchef.

  1. Mistery Box: Sotto una scatola di legno i concorrenti trovano gli ingredienti a sorpresa da abbinare. Questa è la prima prova del concorrente, che da qui in avanti chiamerò il Personaggio. Gli ingredienti, spesso sconosciuti – del tipo molluschi dell’Antartide o semi di oppio kazako – o incompatibili tra loro – banana & mortadella, tortellini & frutto della passione – irretiscono lo spettatore nella sempiterna domanda “Ce la farà?”. La posta in gioco non è comunque l’eliminazione, perciò non porta il Personaggio a rivelarsi più di tanto: è poco più d’una prova d’abilità, con attimi di virtuosismo non proprio essenziale.

Il vincitore della Mistery ha però il diritto a dei vantaggi da sfruttare nella prova successiva. A questo punto la macchina narrativa di Masterchef, che si esplicita attraverso le proposte indecenti dei Giudici, offre al Personaggio delle scelte da compiere: ad esempio, decidere chi nella prossima prova dovrà cucinare bendato e recitando il monologo finale dell’Otello. E qui il Personaggio chiamato alla scelta, anche il più ignavo e benevolo tra i personaggi, non può che definirsi di più, compiendo un’azione che avrà ripercussioni su altri personaggi. Molte rivalità (leggi sottotrame) di Masterchef hanno origine in questo momento. I Giudici assumono da una parte la figura di demoni tentatori (“Il monologo dell’Otello è mmmolto difficile……” “E’ mmmolto difficile equilibrare Desdemona e cardamomo…….” —-> Flemma © Chef Cracco), dall’altra di padri di cui non tradire la fiducia, perché è un attimo che il vantaggio, se non portato a frutto, divenga dono divino sciupato.

  1. Invention Test: La prova, contrariamente al nome, consiste il più delle volte nell’imitare alla perfezione la specialità di un ospite illustre. Non è raro che in questa manche si sperimenti la discesa degli Dèi tra gli uomini, ovvero che l’ospite illustre si metta a spignattare in diretta. L’aria è molto meno rilassata, perché stavolta “Shi va a caasha” (pronuncia standard dell’emiliano giudice Barbieri). Insomma, il Personaggio vede per la prima volta in faccia l’esperienza di morte. I piatti sono pronti, ognuno aspetta di esser chiamato dal Giudice. Al momento dell’assaggio, il giudice mastica lentamente, schiocca le labbra per un tempo interminabile, il tutto senza distogliere lo sguardo dal Personaggio. Il Paradosso dell’Aria Fritta agisce alla sua massima potenza. Perché se fossi uno spettatore di X-Factor e assistessi a un’esibizione equivalente allo scannamento di un cavallo, avrei comunque gli elementi per capirlo, pur non essendo un esperto di musica; e al contempo avrei gli elementi per rendermi conto, bene o male, della buona riuscita di una prestazione. Invece, in Masterchef il responso riposa per intero nella figura dei giudici. In assenza di punti di riferimento, la tensione è al suo massimo e il colpo di scena sempre in agguato, in ogni piatto: quello preparato dal primo della classe può rivelarsi schifoso; quello in apparenza appetitoso, può esser giudicato immangiabile.

Provate a vedere una puntata di X-Factor con una compagnia di persone. Gli spettatori disputano dell’esibizione (“No, vabbe’, verso la fine ha proprio steccato la nota”Sì, ha una bella voce, ma è un tronco, cacchio”). Gli spettatori discutono il verdetto del giudice (“Oh, Fedez c’ha le palle girate, stasera. Se no non si spiega”. “Sì, vabbe’, s’è capito che a Mika questo qua gli piace proprio”). Durante un assaggio a Masterchef, invece, c’è silenzio. Gli spettatori ascoltano e basta. Al momento del verdetto, gli spettatori si dispiacciono o esultano, ma non protestano. I più audaci provano ad azzardare ipotesi sul sapore del piatto, ma stanno parlando di Aria Fritta, e la discussione è potenzialmente infinita come quella sull’esistenza di Dio. I più saggi invece s’affidano totalmente ai giudici, e si godono quel dolce tepore di sottomissione che solo Masterchef sa donare.

Giulio Armeni, collaboratore e tutor de “Le Officine del Racconto”

(Fine della prima parte).

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