“L’arte di correre” è una riflessione sul talento, sulla creatività e più in generale sulla condizione umana; l’autoritratto di uno scrittore-maratoneta, di un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza – dei propri limiti come delle proprie capacità -, di maniacale autodisciplina nel sottoporre il proprio fisico al duro esercizio della corsa; e non da ultimo la sorpresa di scoprire che un autore celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello stereotipo dell’artista tutto «genio e sregolatezza».
La corsa e la scrittura
«Scrivere un libro è un po’ come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno».
Murakami descrive il rapporto tra corsa e scrittura non tanto in termini di ispirazione diretta quanto di complementarietà. Da un lato la corsa compensa la vita prettamente sedentaria dello scrittore, dall’altro ne condivide e rafforza alcuni elementi o valori personali, quali la disciplina, la regolarità e, in certa misura, l’isolamento dagli altri. Il correre appare quindi sia come una pratica salutistica, che controbilancia la inattività dello scrittore, sia come una disciplina mentale che rafforza il carattere e la determinazione necessari alla scrittura. La corsa inoltre, per il suo carattere di disciplina sportiva praticabile in solitudine ma in luoghi pubblici, appare particolarmente adatta a quella solitudine tra la folla propria dello scrittore.
Da un punto di vista psicologico, per Murakami il correre e lo scrivere condividono la capacità di mantenere a lungo un ritmo costante, la forza di superare i momenti di difficoltà e l’abilità di finalizzare i chilometri percorsi ogni giorno, così come le righe scritte, a un progetto a lungo termine.
In entrambe queste attività il segreto, sostiene Murakami, è la capacità di mantenere costante la motivazione intrinseca, una spinta interiore non legata ai risultati ottenuti ma al senso di soddisfazione per il lavoro fatto.
«Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature. A me non interessava avere tanti amici in carne ed ossa, privilegiavo il bisogno di condurre una vita tranquilla in cui potermi concentrare nella scrittura.
Perché per me le relazioni umane veramente importanti, più che con persone specifiche, erano quelle che avrei costruito con i miei lettori. Se dopo aver posato le fondamenta della mia vita ed essermi creato un ambiente favorevole al mio lavoro, avessi scritto delle opere di un certo valore, un gran numero di persone le avrebbe accolte con gioia. E dar loro questa gioia non era forse per me, in quanto scrittore professionista, il primo dovere? Ancor oggi non ho cambiato opinione in proposito. I lettori non li posso vedere in faccia, e in un certo senso la relazione con loro è soltanto concettuale, tuttavia per me quell’invisibile relazione «concettuale» è qualcosa della massima importanza, e con questa convinzione ho vissuto finora»
Ottima riflessione, c´é da aggiungere un´altra analogia col correre: il mantenersi magri!