“Ogni parola che scrivo su quegli eventi del 1964 è il risultato di una battaglia contro il silenzio. Una battaglia che sono destinato a perdere, perché, anche dopo tutti questi anni non so dove, in quale recesso del mio mondo vive questo silenzio del quale so soltanto ciò che non è. Ad esempio non è silenzio di una memoria imperfetta. Né silenzio imposto dalla mancanza di libertà.
Niente di tutto ciò: niente fili spinati né barriere che possano indicarne i limiti. Non so nulla di questo silenzio eccetto che vive al di fuori della portata della mia intelligenza, al di là delle mie parole. Ecco perché questo silenzio è destinato a vincermi, a sconfiggermi definitivamente, perché non è in nessun modo una presenza; è semplicemente una lacuna, un buco, un vuoto in cui non ci sono parole.
Il nemico del silenzio è il discorso, ma non possono esserci discorsi senza parole, né parole senza un senso; ne consegue necessariamente, come in un sillogismo, che quando si cerca di parlare di fatti di cui non si conosce il senso ci si perde nel silenzio, che è la lacuna tra le parole del mondo.
E’ un silenzio che sta al riparo da qualunque gesto di scherno o di coraggio: infatti, quali possibilità abbiamo di sfidare la pura mancanza di senso? Dove non c’è senso, c’è banalità, di cui appunto questo silenzio è fatto e per questa stessa ragione non può essere sconfitto, perché è il silenzio di un’assoluta, impenetrabile banalità.”
Amitav Ghosh, scrittore e antropologo indiano, Le linee d’ombra)
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