Sono piacevoli le ore che trascorre scrivendo?
Sì, molto.
Potrebbe descriverci il modo in cui lavora? Quando comincia e se si attiene a orari precisi?
Quando lavoro a un libro a un racconto comincio a scrivere la mattina, alle prime luci dell’alba. Non c’è nessuno che mi disturbi e poi fa fresco, talvolta freddo, così mi riscaldo lavorando. Leggo quello che ho scritto il giorno prima e siccome m’interrompo sapendo sempre quello che verrà dopo, ricomincio da lì. Scrivo fino a quando arrivo a un punto in cui ho ancora qualcosa che preme per uscire e passare sul foglio, e so che cosa deve succedere, allora mi fermo e cerco di vivere fino al giorno successivo, quando sarà ora di rimettersi al lavoro. Diciamo che se attacco alle sei del mattino posso andare avanti fino a mezzogiorno, qualche volta smetto prima. Quando mi fermo mi sento svuotato, ma allo stesso tempo anche carico, come quando ho fatto l’amore con qualcuno che amo. Non c’è niente che mi possa ferire, niente che mi possa turbare, niente che significhi niente fino all’indomani, quando ricomincio di nuovo. Il difficile è attendere fino ad allora.
Riesce a non pensare al lavoro quando non è alla macchina da scrivere?
Certo. Ci vuole un po’ di disciplina per riuscirci, e questa disciplina va imparata. Non c’è altra soluzione.
Quando riprende a lavorare da dove ha interrotto il giorno prima, fa già una revisione del testo oppure aspetta di aver concluso tutto?
Ogni giorno, prima di ricominciare, rivedo il testo fin dove sono arrivato e quando ho finito lo rileggo interamente. Poi posso di nuovo correggerlo dopo che è stato battuto a macchina ed è scritto chiaro. L’ultima occasione sono le bozze. Meno male che ci sono tutte queste opportunità.
E le revisioni che fa sono pesanti?
Dipende. Di Addio alle armi ho riscritto la fine, l’ultima pagina intendo, trentanove volte, prima di trovare una soluzione che mi soddisfacesse.
Cos’è che non la convinceva?
Non riuscivo a mettere le parole così come volevo.
È la rilettura che smuove il flusso creativo?
La revisione di conduce in un punto in cui non puoi non andare avanti, e questo vuol dire che sei già un passo avanti. Intanto c’è sempre altro che bolle in pentola.
Ma capita qualche volta che l’ispirazione venga a mancare?
È ovvio, ma se ti fermi quando sai cosa accadrà dopo, vuol dire che puoi proseguire. Una volta che hai iniziato, il gioco è quasi fatto, le parole arriveranno.
Sostiene Thornton Wilder che gli scrittori adottano alcuni stratagemmi che li aiutano a concentrarsi e ad affrontare il lavoro di tutti i giorni. Lei gli avrebbe riferito che è sua abitudine fare la punta a venti matite.
Non ho mai posseduto venti matite tutte insieme. Quando arrivo a consumarne sette n.2 è segno che la giornata di lavoro è stata molto proficua.
Quali sono i luoghi dai quali ha tratto i maggiori vantaggi il suo lavoro? Uno deve essere l’albergo Ambos Mundos, a giudicare dai libri che lei ha scritto lì. Oppure l’ambiente influisce poco sulla sua scrittura?
L’Ambos Mundos a l’Avana era un ottimo posto per lavorare. È un luogo meraviglioso, quella Finca, o perlomeno lo era. Ma sono stato bene ovunque, intendo dire che sono riuscito a lavorare nelle circostanze più disparate. Le cose che rendono impossibile lavorare sono il telefono e la gente che passa a trovarti.
È necessario essere emotivamente stabili perché la scrittura sia buona? Una volta lei mi ha detto che riesce a scrivere bene solo quando è innamorato. Potrebbe spiegarci meglio questa sua tesi?
Che domanda! Comunque 10 e lode per averci provato.. Si può scrivere solo quando la gente ti lascia in pace e nessuno t’interrompe. O meglio, quando si è risoluti a farlo. Sì, sicuramente quando si è innamorati si scrivono le cose migliori, ma se non ha niente in contrario preferisco non scendere in particolari.
E la sicurezza economica? Può essere controproducente in termini di creatività nella scrittura?
Se la si raggiunge presto e si ama la vita quanto la scrittura, allora ci vorrà una buona dose di carattere per resistere alle tentazioni. Una volta che scrivere è diventato il tuo peggior vizio e il piacere più grande , solo la morte potrà fermarti. Da questo punto di vista la sicurezza economica è un grande vantaggio perché ti toglie molte preoccupazioni, e le preoccupazioni distruggono la capacità creativa. La cattiva salute è fonte di preoccupazioni che attaccano il subconscio e annientano le riserve di energia.
Si ricorda il momento esatto in cui decise di diventare una scrittore?
No, ho sempre voluto fare lo scrittore.
Philip Young, nel libro che le ha dedicato, ipotizza che lo choc di quando nel 1918 lei fu ferito da un corpo di mortaio abbia avuto una forte ripercussione sulla sua scrittura. Ricordo che a Madrid lei accennava a questa teoria dandovi poco credito perché, diceva, l’artista non acquisisce un bagaglio di conoscenze, ma, in senso mendeliano, lo eredita.
Evidentemente quell’anno a Madrid non ero granché lucido. Per fortuna mi sono limitato a fare qualche accenno al libro di Young e alla sua teoria della letteratura. Forse, in quell’occasione, con la commozione celebrale e la frattura al cranio mi sono lasciato andare ad affermazioni azzardate. Quello che ho detto, e lo ricordo bene, è che, a mio parere, l’immaginazione è il risultato di esperienze ereditate, ancestrali. Credo che tra le chiacchiere post-trauma non suonasse affatto strano, ma è una constatazione che va considerata in quel contesto. A ogni modo, fino al prossimo incidente, lascerei stare, d’accordo? La ringrazio comunque per aver omesso i nomi dei parenti che forse avevo tirato in ballo. La cosa divertente di quando si parla è che si va a fondo, ma forse è meglio non mettere per iscritto teorie infondate che poi bisogna difendere. Per quanto riguarda la sua domanda, gli effetti delle ferite possono variare molto. Ferite lievi, senza fratture, hanno conseguenze limitate, qualche volta danno perfino sicurezza. Ma quelle che danneggiano le ossa o i nervi non hanno alcun effetto positivo né sugli scrittori, né su chiunque altro.
Secondo lei qual è la migliore preparazione intellettuale per un aspirante scrittore?
Diciamo che dovrebbe uscire di casa e impiccarsi, dopo aver preso atto di quanto sia difficile scrivere bene, anzi forse quasi impossibile. Poi, tirato giù da qualcuno privo di compassione, il poveretto dovrebbe forzarsi a scrivere meglio che può, per tutta la vita. Ma almeno avrebbe la storia dell’impiccagione con cui incominciare.
Da un’intervista a “The Paris Review”, 1958.
Fine prima parte.
Dall’unità didattica: elementi per lo stile (Corsi di scrittura creativa on line)
Rispondi